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Il Castello Farnese: Dimora di Giulia la "Bella"
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Il castello di Carbognano è costituito da un fabbricato a pianta quadrilatera irregolare intorno a un piccolo cortile decentralizzato, di notevole possenza plastica e su cui fa perno l’intero tessuto urbano dell’abitato. La facciata principale di rappresentanza, che da’ sulla piazza del comune, presenta due ordini di finestre disposte in maniera irregolare di cui le tre superiori recano nella cornice la scritta IVLIA FARNESLA. E’ coronata, come d’altronde tutti gli altri lati, da un filare di beccatelli reggenti una sorta di camminamento di ronda con merli a sagoma dritta e con feritoie a croce (foto 1).
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a mò di scarpatura. Solo due di esse, quelle più vicine alla sporgenza della torretta a est, presentano il medesimo tipo di cornice. Quella superiore ha nel fregio la scritta IVLIA FARNESIA e nella prossimità della cortina muraria è situato uno stemma in marino con lo scudo a sei gigli Farnese, circondato da una corona di frutti e foglie. L’ultimo lato, situato a sud-ovest, è la facciata interna di ingresso (foto 3). Unici elementi che emergono sono: il portale d’ingresso ad arco con situato, in corrispondenza della chiave, lo scudo a sei gigli Farnese ed evidenziato da una cornice a bugnato, in peperino; e un ambiente sporgente su beccatelli. La cortina presenta anch’essa, come il lato precedente, un’ inclinazione a scarpa e vi è ancora, come elemento separatore tra la muratura a piombo e quella inclinata, un toro che tuttavia non impegna che un terzo della intera facciata. L’edificio è raccordato al palazzo del comune mediante un corpo unito con un rapporto di continuità alla facciata principale, che tuttavia è interrotto al centro da un’arcata che permette di collegare mediante una rampa la piazza del comune con la soprastante piazzetta del castello. L’edificio del comune, anch’esso a pianta irregolare presenta alcuni elementi dei portali e delle finestre
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che sembrano stilisticamente affini ad elementi del castello. Infine, il portale d’accesso apre su un cortiletto delimitato a nord-ovest dal corpo del mastio, interrotto nella sua omogeneità da una finestra quadrata con la scritta IVLIA DE FARNESIO e a nord-est da un atrio di accesso alla doppia rampa di scale che disimpegna i piani superiori. Sul lato del portale presenta. addossato alla parete, un semipilastro ottagono con capitello a foglie lisce. Non è chiara la funzione di tale elemento, che si può stilisticamente raccordare ad una serie di bifore presenti sui muri laterali della chiesa di Santa Maria della Concezione, che hanno anch’esse delle colonnine a base ottagonale con capitello a foglie lisce. Tutte le pareti del cortiletto presentano tracce ancora visibili di intonaco a graffito a base scura, secondo la tradizione romana, che simula un finto bugnato rettangolare. L’edificio, sicuramente molto rimaneggiato nel corso dei secoli con l’aggiunta di nuove finestre e porte e di intonacature, presenta tuttavia, come rivelano alcuni indizi (gli stemmi e le finestre “firmate” su ogni lato) almeno 1’impianto perimetrale originale.
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Nelle sue massime forme attuali l’edificio ricorda l’impianto castellano, sia nel rapporto urbanistico del palazzo col nucleo abitato (si avverte la sua prevalenza dimensionale sul resto dell’insediamento) sia chiaramente nel suo tipicovocabolario di torri, beccatelli, merlature, feritoie, tipici dei castelli rinascimentali. Che tuttavia questi elementi abbiano perso la loro funzione difensiva o di attacco e segnino il passaggio dal tipo del castello baronale medievale al nuovo modello del palazzo fortificato è evidenziato dalla mancanza di un fattore fondamentale caratteristico del vero castello: la struttura prevalentemente chiusa e compatta. La grande quantità di forature e l’impianto stesso, che ricorda più un palazzo che una rocca. della facciata principale, sono forse il segnale più vistoso che contraddice a tale principio. L’intero palazzo si caratterizza inoltre per la qualificazione nobile data dall’uso frequente di portali e finestre in peperino, dalle cornici variamente modanate, ma che presentano un unico modello stilistico: Roma. La presenza della torre, l’intonaco a graffito. l’allungamento orizzontale della facciata principale. Il decentramento del portone d’ingresso, le finestre a sagoma quadrata o rettangolare con cornice derivata dalla modulazione dell’architrave classico, che presenta in alcuni casi sui montanti in basso i tipici risvolti quattrocenteschi, sono tutti elementi tipici delle residenze private romane sul finire del XV secolo: palazzo Venezia ne è il capostipite. Così come è tipicamente romano, dell’epoca di Sisto IV e Innocenzo VIII (1471-92), l’uso dei pilastri ottagoni.
La datazione del castello in base ai suoi dati stilistici, non calcolando gli evidenti interventi successivi, è da porre tra la fine del Quattrocento e il primo decennio del Cinquecento. La presenza dell’enigmatico semipilastro ottagono denota forse, come nella chiesa di Santa Maria, una preesistenza tardo-quattrocentesca. senza dimenticare il nucleo medievale nominato nel 1256, su cui intervenne Giulia Farnese a partire dal 1506. E, se è vero che Il castello doveva essere stato terminato, almeno nella sua parte architettonica, nel 1515, dovette comunque essere stato costruito, a giudicare dalle tendenze architettoniche presenti a Roma in quegli anni, da maestranze cosiddette “di resistenza”, che rispetto alle novità stilistiche dei grandi maestri coevi. riproponevano i modi tardo quattrocenteschi parcamente aggiornati. E’ in fondo la linea in cui si porrà Antonio da Sangallo il Giovane, almeno in un primo momento il quale diverrà di lì a poco (Capodimonte 1513; Gradoli 1517) l’architetto dei Farnese.
L’intervento di Giulia Farnese, che introduce in un contesto provinciale elementi tipici della cultura romana e di un richiamo all’antico come segno dl citazione piuttosto che come legge compositiva, è quanto mai interessante, e si rivela come uno dei primi esempi. che diverrà poi tipico della famiglia Farnese, di quella tendenza a conferire un aspetto urbano a dei villaggi prevalentemente agricoli, tendenza che culminerà con l’esempio di Caprarola. La scelta di un gusto stilistico in parte retrò non è da attribuire esclusivamente al gusto della committente che. come vedremo, saprà mostrarsi anche all’avanguardia, ma è da situare nella precisa logistica di Carbognano. Il castello si impone certo come un elemento nuovo, ma con sobrietà (prendere il palazzo della Cancelleria come modello sarebbe stato fuori luogo). Una doppia rampa porta a un anticamera al secondo piano, su cui si aprono due porte. una delle quali presenta una cornice riccamente modanata con fregio e stemma Farnese al centro e ai lati la scritta IVLIA FARNESIA tramite l‘altra pota si entra in un piccolissimo ambiente di disimpegno con volta a botte. Nella lunetta della parete a nord-ovest si intravede un busto dipinto. secondo l’iconografia degli imperatori romani, ma totalmente illeggibile a causa dell’annerimento della volta. Da qui si entra nel salone principale.
La dislocazione delle stanze, che per struttura e altri elementi quali stemmi o affreschi si possono dire tutte originarie del periodo di Giulia Farnese, ripete il classico schema della grande sala al centro con camere ai lati. Nella pianta che ho potuto reperire al catasto di Viterbo, si nota anche una stanza circolare, in corrispondenza del torrione a nord, che qui viene definita come cappella, ma da altri come il bagno privato di Giulia. Le stanze affrescate sono cinque: l’ambiente di disimpegno, il salone, la cucina (dei cacciatori), la camera da letto a destra del salone (camera di Giulia), la cappella. Personalmente ho potuto visitare il salone e la cucina. Tutte le stanze presentano una volta a schifo lunettata su capitelli pensili in peperino; in alcune, al centro del soffitto, vi è lo stemma Farnese scolpito in pe-
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perino. Il soffitto del salone, presenta una sorta dl pergolato rosso molto stilizzato con al centro tre stemmi campeggianti su fondo chiaro: uno piccolo al centro, forse di legno colorato, mostra lo scudo a sei gigli blu in campo giallo. E’ circondato da una corona ovale. Gli altri due stemmi, disposti simmetricamente rispetto a questo, sono simili fra loro, anche se non ‘identici, e presentano uno scudo inquartato Farnese (sei gigli blu in campo giallo) e Caetani (inquartato: nel I e nel IV di giallo con due bande ondate blu scuro, nel II e nel III d’azzurro con aquila spiegata gialla). Sono coronati in alto da nastri a fiocco svolazzanti e sono entrambi circondati da due interessanti corone costituite da spighe. alloro, pomi. melagrani, uva bianca e pere. Le corone e il suddetto stemma a rilievo sono a loro volta circondati da nastri svolazzanti rossi puntinati di bianco che fingono di proiettare un’ombra sul soffitto, con chiaro effetto illusionistico di trompe l’oeil. (foto 4)
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Le vele, le lunette. gli spicchi. sono tutti decorati a grottesche e sono conclusi in basso da un piccolo fregio con elementi floreali interrotti di tanto in tanto da tondi con vedute molto approssimative a monocromo. Fregio che ritengo essere stato completamente rifatto forse nel XVIII o XIX secolo.
Altri due stemmi sono presenti nella stanza: la lunetta centrale della parete sud-ovest presenta uno scudo con gigli blu su fondo giallo, sormontato da una croce latina vescovile e da un cappello rosso da cardinale guarnito da due lunghi cordoni intrecciati terminanti con i caratteristici fiocchi. E’ chiaramente lo stemma del cardinale Alessandro Farnese.
Nella lunetta centrale della parete opposta. sopra la grande finestra, c’è uno stemma inquartato Della Rovere quercia gialla sradicata in campo blu scuro, i rami passanti in doppia croce di S. Andrea e Orsini tre zone: la inferiore è bandata di rosso e bianco, la mediana ha un’anguilla nera in lascia bianca. la superiore una rosa rossa a cinque petali in campo bianco). Lo stemma è coronato anch’ esso da nastri svolazzanti e affiancato da due uccelli rapaci. da racemi. da due uccelli trampolieri e da graziosi draghetti.
E’ chiaramente lo stemma che segna il matrimonio tra Niccolò Della Rovere e Laura Orsini, figlia di Giulia, il cui doppio stemma, Invece, ostentatamente personale, è quello che campeggia al centro del soffitto: Giulia Farnese era figlia di una Castani.
Tutti questi stemmi, dislocati tra l’altro in maniera strategica, celebrano quindi, anche in una proiezione verso il futuro, le fondamentali alleanze instaurate dalla famiglia Farnese. Alleanze che faranno, o che si spera facciano, la fortuna della casata: con la Chiesa, rappresentata dallo scudo del cardinale Alessandro, situato in una posizione discreta ma presente; con la famiglia Caetani, primo passo verso 1’alta aristocrazia romana: con i Della Rovere e gli Orsini, segno dell’entrata definitiva in Roma. Gli elementi naturalistici, sia animali che vegetali. sono presenti in quantità maggiore rispetto a quelli “mostruosi”, con una frequenza direi insistente e per questo, ritengo, segnica. Compaiono uccelli trampolieri, spesso nell’atto di tenere nel becco dei vivaci serpentelli. civette, granchi. draghetti alati (molto simpatici), cavallini fìtomorfi, mascheroni, cariatidi con cesti di frutta, motivi a candelabra. Tali motivi si presentano secondo una composizione diradata e semplificata, dovuta probabilmente alla presenza di un pittore non eccezionale, che sovente ha tuttavia delle punte di vivacità e freschezza espressiva.
La cucina presenta. in dimensioni più ridotte, lo stesso schema decorativo del salone e uno stemma cardinalizio di Alessandro Farnese nello strombo della finestra. Il fregio alla base delle lunette ospita delle vivaci scene di caccia, a monocromo su fondo rosso, inframmezzate di tanto in tanto da tondi con le aquile spiegate dei Caetani. Purtroppo una spessa patina di nerofumo ricopre l’intera volta, rendendola illeggibile. Si nota comunque la mano di un artista sicuramente più esperto di quello del salone, e molto vicino, tra l’ altro, a quello che dipinse, forse proprio negli stessi anni, alcuni soffitti lignei che si trovano nel palazzo Farnese di Gradoli. Per una datazione su basi stilistiche si deve tenere conto di un fattore fondamentale: queste grottesche non sono concepibili se non dopo la “riforma” di Giovanni da Udine, attuata nelle Logge del Vaticano nel 1518-19. Riforma che consiste essenzialmente: nell’introduzione di elementi naturalistici nel repertorio fantastico tardo quattrocentesco, direttamente copiati dalla natura, spesso con puntigliosità catalogatoria; nello stagliarsi delle grottesche su fondo bianco; nell’uso di ghirlande con fiori e frutta realisticamente riconoscibili. Tutti elementi che ritroviamo a Carbognano e che erano diffusi in quelle incisioni di Agostino Veneziano, attorno al 1518-20, che in parte hanno costituito una fonte lconografica per le nostre grottesche. Ma altri indizi fanno pensare alla presenza di un ulteriore mediatore: Baldassarre Peruzzi. Egli stesso, a partire dal 1518-20, influenzato dalle innovazioni di Giovanni da Udine, svilupperà un sistema decorativo assolutamente originale e con ben determinate caratteristiche. Innanzitutto le sue grottesche rivestono le volte con stile decorativo vegetale piuttosto che derivato archeologicamente dalle partizioni architettoniche della Domus Aurea, come era invece nel collaboratore dl Raffaello, Partizioni con ghirlandette e collanine, che compaiono a Carbognano, sono frequenti nelle sue opere tra il 1518 e il 1520: il corridoio del piano nobile della Farnesina. la loggia del cortile dl casa dei Plceni, la loggia Stati sul Palatino, la sala capitolare in San Lorenzo in Damaso. Così come altri elementi a noi noti, quali la predilezione per gli uccelli, soprattutto trampolieri (un trampoliere che mangia un serpentello appare su un’arcata della Volta Dorata della Cancelleria, del 1519), draghetti.
Tutto insomma fa pensare a una datazione sul finire del secondo decennio del secolo XVI. Se ricordiamo che Giulia muore nel 1524; che la chiesa che fa costruire è del 1522; che il secondo marito Giovanni Bozzuto (che araldicamente non è mai nominato) muore nel 1517; che. infine, il matrimonio di Laura è del 1505, la datazione di base (1506-1524) dovrebbe forse restringersi. per gli affreschi, tra il 1518 e il 1522. Per quanto riguarda le maestranze che possono avervi lavorato, l’attribuzione è molto difficile, considerato anche lo stato di conservazione degli affreschi. Ritengo comunque che tali artisti provenivano dall’ambito della bottega peruzzesca degli anni 1518-20 e che ripresero elementi da taccuini, stampe, affreschi. senza una precisa fonte iconografica ma ricomponendoli diversamente nel nuovo contesto. Sebbene il genere delle grottesche sia considerato spesso esclusivamente ornamentale, nel caso specifico di Carbognano esse divengono portatrici di un preciso messaggio da legarsi alla figura della committente e alla funzione del luogo in cui si trovano, che è il salone di rappresentanza: non quindi una dimensione privata, come per le altre stanze, ma semipubblica. Analizziamo prima di tutto l’impresa dell’unicorno, certo la chiave di lettura di tutto il ciclo.
L’unicorno, nei bestiari medioevali e nel “Fisiologo”, era associato a due leggende: una più popolarmente conosciuta, narrava che l’animale non poteva essere catturato che da una vergine. Tale Immagine, che tra l’altro compare nelle stanze private di Giulia con chiara autoallusione, era interpretata come figura dell’incarnazione di Cristo e, in ambito laico, come emblema della purezza e castità.
L’altra leggenda riconosce all’unicorno la proprietà dl purificare le acque avvelenate da serpenti o altri animali nocivi, e quindi è utilizzato ancora una volta come emblema di purificazione. Per questo suo significato l’unicorno veniva spesso impiegato in araldica specialmente nel mondo cortese e cavalleresco, oltre che su arazzi e cassoni del XV e XVI secolo. Proprio legato a questa moda cavalleresca era apparso, per la prima volta nell’iconografia farnesiana, nel sepolcro dì Ranuccio il Vecchio, del 1449. Si ritiene che Carbognano sia cronologicamente il primo esempio, finora noto, in cui tale soggetto compare sotto forma di impresa associata alla famiglia Farnese, che lo adotterà, da Paolo III in poi, come animale totemico famigliare.
Negli affreschi di Castel S. Angelo compare infatti, tra le altre imprese. quella del liocorno che Immerge Il corno in un rivo, accompagnata dal motto “VIRTUS SECURITATEM PARIT, o talora IN VIRTUTE TUA SERVATI SUMUS”: la virtù genera la sicurezza, appunto. Sebbene nel nostro caso il motto sia, purtroppo, di traduzione del tutto incerta, l’associazione tra liocorno e fonte (tra l’altro connotata con lo stemma Farnese e quindi simbolo della famiglia Farnese stessa) non può che significare il concetto di purificazione dai “veleni” che hanno insidiato la famiglia Farnese e, oserei dire, Giulia stessa. E’ purificazione che avviene grazie alla virtù e alla unità dei membri della famiglia chiamati in causa dagli stemmi più sopra decodifìcati. Virtù intesa sia come castità spirituale (di cui l’unicorno e 1’ acqua sono emblemi), sia come un impegno concreto. Da quello che s’intuisce dalle illustrazioni del volume Viterbo delle delizie, più volte citato, gli stessi concetti sono espressi. nelle stanze private del castello, dalla vergine con il liocorno e dai vari cartigli con motto. Tutti richiamano ad una resurrezione, rinascita, purificazione attraverso le opere e la scelta di una vita virtuosa: CITO PERFICIET (presto avrà compimento), DATUR... (è possibile), OPERIBUS.. (con i fatti). Molti altri elementi delle grottesche della sala e le corone stesse che circondano gli stemmi, sono funzionalizzati anch’essi al programma celebrativo della committente. Gli uccelli che mangiano serpenti, ad esempio: la maggior parte sono trampolieri (aironi. cicogne. gru. ibis): ossia i distruttori di serpenti per eccellenza e quindi figure della Virtù-Cristo che combatte contro il Male- Satana.
Tratto da: Il Castello di Carbognano, 1508 - 1524: Una Committenza Femminile Sconosciuta
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